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Il Convento

Care la splendida vista e la buon’aria pagarono i frati devoti a San Francesco...

Sulla costruzione del Convento di Pisciotta mancano notizie certe e probabilmente ogni documentazione è andata perduta a seguito dei numerosi attacchi pirateschi e degli incendi che il convento ha patito.

Le notizie di cui disponiamo sono quelle contenute nel libro di Padre Bonaventura Tauleri d’Atina O. F. M. del 1693, che riporta quanto descritto da P. Gonzaga nella sua Cronica. Vi si legge che la costruzione del Convento dei Frati Minori Osservanti, intitolato a San Francesco, era iniziata nel 1522 per opera di donna Giovanna d’Aragona, “padrona temporale dell’istessa Terra”, che in esso fu seppellita. La circostanza non ha però riscontri. In quegli anni feudatario di Pisciotta era Baldassarre Caracciolo, e la moglie si chiamava Eleonora d’Aragona e non Giovanna; se anche si voglia pensare ad un errore nella datazione, non esiste una Giovanna d’Aragona sposata ad altro feudatario di Pisciotta del XI o XVI secolo. In un testo del Seicento si dice poi che “nel castello di Pisciotta (…) l’anno 1522 fu dalla Regina Giovanna d’Aragona fatto fabbricare un Monastero (…) il quale fu poi rubato e distrutto dai Turchi” : la fondazione sarebbe perciò da attribuire alla Regina di Napoli, non alla feudataria di Pisciotta. La Regina di Napoli però era morta nel 1518. L’errore storico rimane, anche perché essa non fu ovviamente seppellita nel nostro Convento. Nella tradizione pisciottana si continuò a parlare della “fondatrice Giovanna” colà sepolta e venerata anche per un fatto prodigioso che la coinvolse (Cronache degli Ordini istituiti dal P. S. Francesco di vari scrittori, migliorato e corretto da P. Leonardo da Napoli, Padre dell’Ordine Serafico – parta IV – Tomo I. Napoli, 1680, pag. 70. Padre Bonaventura narra che i Saraceni, in una delle loro incursioni, entrati nel convento, profanarono anche la tomba della fondatrice, spogliando la salma dei ricchi abiti. Ma “si sentirono interiormente tutti assalire di tale e sì fatto timore e terrore” che si diedero a precipitosa fuga. Invece, nelle Cronache, se dà del fatto una versione un po' diversa: gli infedeli aprirono il sepolcro, al cui interno era “un corpo intero e incorrotto” di cui si fecero beffe, ma di lì a poco furono assaliti da uno spavento grandissimo e fuggirono.

Il Convento sorse in un luogo non troppo distante dal mare e contiguo alle abitazioni, su una costa della collina, in posizione alta e panoramica. Era, tuttavia, esterno alla barriera di edifici addossati gli uni agli altri, che facevano da corona al castello ed è per questo motivo che fu bersaglio facile dei saraceni, sbarcati alla marina, che a più riprese lo saccheggiarono. Semidistrutto a fine Cinquecento, fu faticosamente ricostruito grazie alle elemosine e, soprattutto, alla generosità di d. Federico Pappacoda, marchese di Pisciotta dal 1620. Più memorabile l’attacco del 7 giugno 1640, da parte di quattrocento Turchi giunti su sette galee. Questi, che avevano attaccato il paese da più parti ed erano stati respinti con gravi perdite, sfogarono la loro rabbia sulla Chiesa Parrocchiale e poi sul Convento. Al suo interno, per una tragica coincidenza, era stata accumulata dai cittadini molta parte dei loro beni per sottrarli agli appetiti dei soldati spagnoli, giunti a Pisciotta nel marzo dello stesso anno ed inviati dal vicerè di Napoli per imporre con forza il pagamento di una tassazione straordinaria a cui il feudatario si era opposto. Buona parte dei beni fu portata via, la restante parte distrutta dal fuoco. Nella circostanza, riporta il cronista Padre Gonzaga, furono bruciate le immagini sacre e le statue, ma una tela di San Francesco, gettata nel fuoco, rimase miracolosamente integra: ancor oggi si può ammirare nella Chiesa Parrocchiale.

Fino all’Ottocento il convento dei Frati Minori Osservanti continuò a svolgere un ruolo centrale nell’ambito della vita religiosa del paese; all’interno della sua chiesa trovò sepoltura la maggior parte dei pisciottani fino ad un tempo che andrà ben oltre il limite imposto ai comuni perché il seppellimento avvenisse in Camposanti appositamente costruiti e lontani dall’abitato.

La storia successiva del Convento è simile a tante altre riguardanti soprattutto gli Ordini Religiosi, alla mercé di soppressioni, confische, attacchi di briganti, manovre politiche e, soprattutto, finanziarie: pian piano il Convento è stato depredato dei suoi beni e delle sue funzioni, sino ad essere “spezzettato” e svenduto. Oggi non restano che poche rovine, di proprietà privata.

Il presente testo è una sintesi delle pagine dedicate al Convento presenti in “Il Feudo di Pisciotta tra i secoli XVII e XIX. Elementi documentati di storia” di Massimino Iannone, GIANNINI EDITORE, NAPOLI, 2016.